21 ago 2011

La Giostra incontra Dino Gifford


Incontro il sig. Dino Gifford, livornese, novantaquattrenne, nella sua casa di Firenze, proprio sotto la curva Fiesole. 
Gifford con le due figlie
M:“Nel 1938/39, il Modena ritrova la serie A e lei arriva a Modena. Cosa ricorda?”
G:“Arrivai entusiasta. Avevo cominciato a giocare a Livorno, squadra della mia città, feci un buon campionato a Viareggio, in Serie B, e l’anno dopo esordii in Serie A con il Livorno. Poi nell’estate del 1938 il Modena mi prelevò. Il Modena aveva appena preso un nuovo allenatore, Umberto Caligaris, che credeva fortemente in me. Posso dire di essere stato all’epoca una delle speranze del calcio italiano. Caligaris mi trattò benissimo, mi accolse in casa sua e, visto che poi sarebbe andato alla Juventus, mi prospettò di portarmi con se a Torino. Fatto sta che giunto a Modena rimasi meravigliato di tanto entusiasmo attorno a me. All’inizio fu una splendida esperienza. Non potevo passeggiare liberamente in Via Emilia, dato che si formavano capannelli di gente che mi voleva conoscere. I primi due/tre mesi furono idilliaci.”
M:“Poi cosa avvenne?”
G:“Avvenne che ero giovane e non avevo di certo l’esperienza che avrei oggi. Allora a Modena c’era Bazan, palermitano, ala, ricco di famiglia con una splendida automobile sportiva. Successe che più che agli allenamenti pensai alla bella vita. Dopo la partita si partiva per il lago e si stava via un paio di giorni. Devo dire che, ripensando a posteriori, forse non avevo il sacro fuoco del calcio rispetto a quel tenore di vita. Mi rilassi e questo si riflesse ovviamente sul rendimento. Caligaris se ne accorse e decise di non scommettere su di me. Per la verità i dirigenti del Modena tentarono di riportarmi indietro, ma io ormai ero perso per il calcio.”
M:“Come cominciò la sua esperienza a Modena?”
G:“Mi sembra di ricordare che la prima gara di campionato non ci fui per la febbre. La seconda di campionato andammo a Torino contro la Juventus. Facemmo una grande partita, un match nullo. Ricordo che Caligaris alla fine della gara era fuori di sé dalla gioia. Allora la Juventus aveva una squadra formidabile. Pensi che centromediano, ovvero il mio omologo, era “Luisito” Monti, argentino, campione del mondo nel 1934. Poi con la Roma di Bernardini si vinse 2-0, anche quella squadra formidabile.”
M:“Altri ricordi?”
G:“Ricordo la gara a Genova con il Genova. Appena iniziatasi la partita, l’arbitro fiorentino Pizziolo ci fischiò un rigore inesistente: (si riscalda) la palla mi colpì su una coscia e non andò mai sul braccio. Rovinò la gara. Noi la mettemmo in rissa e buscammo un sonoro 5-1. Poi diventammo amici con Pizziolo, ma lui non ammise mai di aver sbagliato!”
M:“I compagni di squadra?”
G:“Il Modena quell’anno allestì una squadra di giovani con qualche vecchia volpe. C’era Dugoni, ormai oltre la trentina, mediano, giocava al mio fianco. Una sagoma. Un giocatore duro, ma anche molto tecnico. Uneddu, col quale dividevamo la residenza presso due signore aristocratiche, Vignolini, fiorentino. Ma anche i fratelli Sentimenti (III e IV), che ebbero una superba carriera, Zironi, grande ala destra. Come detto, allenatore era Umberto Caligaris, che aveva subito un intervento al costato e ne riportava visibilmente le conseguenze. Lui giocava le partitelle con noi. Anche quando se ne andò da Modena usava fare lo stesso, tanto che morì sul campo di allenamento poco tempo dopo.”
M:“Poi?”
G:“Man mano che le mie prestazioni andarono declinando, ovviamente il pubblico perse l’entusiasmo per finire quasi per offendermi. “Alè-Alè Modna”, gridava. Ma io ero in tutt’altre faccende affaccendato. Noi giocatori eravamo dei privilegiati. Io ancor più dei miei compagni in quanto ero studente e non avevo una famiglia da mantenere. Mi godetti la vita. Al termine della stagione il Modena mi vendette al Molinella, allora in B. Quell’anno il Molinella prese Busoni, che era diventato famoso qualche anno prima perché per il suo trasferimento era stata pagata una cifra record. Un fallimento. Per la verità quell’anno giocai poco perché mi dedicai allo studio. Stavo per smettere quando Le Signe mi propose un contratto di 9.000 lire per giocare. Incredibile. Accettai, ma giocai poco perché partii per militare. Pensi che pur non giocando la Federazione mi pagò ¾ mesi di stipendio. Qualcosa come 27mila lire! Poi andai a L’Aquila e anche lì giocai una o due gare. Infine smisi.”
M:“Lo stadio?”
G:“Allora si riempiva solo quando arrivavano gli squadroni: Bologna, Ambrosiana, Juventus, Roma. Per il resto andava molta meno gente.”
M:“Gli allenamenti?”
G:“Gli allenamenti? (sorride) Andavamo a letto alle due di notte! Il lunedì e il martedì erano praticamente solo dedicati ai medici che ci visitavano e ai massaggiatori. Il mercoledì si faceva qualche corsetta e il giovedì la partitella, di solito con la squadra delle riserve. Venerdì e sabato erano più o meno liberi quando si giocava in casa o, in caso di trasferte, erano dedicati al viaggio.”
M:Grazie Signor Gifford.
Pasquini Marco per La Giostra Dei Footballers
Dino Gifford al centro

GIFFORD Dino “al vìgil”

Nato a Livorno il 6.1.1917
Ruolo: mediano - centromediano
Esordio in Serie A: 3.10.1937, Lucchese-LIVORNO    1-1


1935-36    Livorno            B    -    -   
1936-37    Viareggio         B    23    -   
1937-38    Livorno            A    4    -   
1938-39    Modena           A    13    -   
1939-40    Molinella          B    10    -   
1940-41    Le Signe          C    11    4   
1941-42    L’Aquila           C
Coppa Italia (Modena)
1938-39     2    -
Dino Gifford è stato l’unico “americano” della storia del Modena. Il padre era originario di Terrytown (Stato di New York) e lui fino a 20 anni rimase cittadino americano, salvo poi cambiare cittadinanza su imposizione del regime, pena la spedizione in un lager. Cresciuto nel Livorno, andò in prestito al Viareggio in B collezionando a soli 20 anni un buon numero di presenza. Rientrato in amaranto esordì in serie A nel campionato 37-38 e passò a Modena in quello successivo con le stigmate della grande speranza. A Modena il suo salario più alto fu di 3 mila lire al mese. Gifford però non rese secondo le aspettative, e i tifosi presero a soprannominarlo “al vìgil”, per l’abitudine di protestare la propria innocenza con l’arbitro allargando le braccia. Trasferito al Molinella, giocò fino alla fine del ’42 nelle serie inferiori. Poi nel caos bellico finì per essere tesserato per la Roma nel 42-43 senza mai giocarvi perché richiamato alle armi come Tenente dei Granatieri. Dopo la guerra smise e si trasferì a Firenze per diventare dirigente d'azienda. Oggi, all’età di 94 anni, abita a Firenze. Si dichiara orgogliosamente tifoso viola, anche se gli spiace che il Livorno sia finito in B. 
 

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